Nicoletta Meroni CONNETTERE

Il viaggio continua, sempre in cerca, sempre a voler raccontare e ricordare qualcosa di luoghi, opere, persone e ombre.
Questa volta tentiamo di pensare Milano da Hobart in Tasmania, di vedere Parigi e l’Hôtel de Galliffet da Sydney e da Melbourne, come osservatori dall'occhio sempre maledettamente milanese, cercando tracce, lasciando segni. 
«Appaesati», come direbbe Ernesto De Martino, perché in fondo la nostra città è un paese, siamo in cerca di orientamento, inevitabilmente disorientati, non spaesati dalla pianta della nostra città radiocentrica che nel corso del tempo si è allargata a macchia d'olio e, come una ruota, gira su se stessa con l'obiettivo di diventare una vera metropoli e al tempo stesso di restare paese vivibile.
«Se vogliamo che tutto rimanga com'è bisogna che tutto cambi» diceva Manfredi nel Gattopardo. Spinti dall'abitudine ad ambientarci, per la nostra inevitabile, seppur provvisoria capacità di insediamento, siamo alla ricerca di punti di riferimento in ogni posto, delle coordinate che molti luoghi non presentano e che il viaggiatore scopre anche con l'aiuto dell'immaginazione.
I luoghi da cui scrivo sono i luoghi di cui scrivo, ma se a Milano narro di un posto lontano, visto e vissuto soltanto pochi giorni prima, lo descrivo giocando con gli scherzi della memoria.
È il luogo che ispira, di un'ispirazione veicolata dall'influenza del punto di vista: guardare al di là, dal proprio punto di vista e oltre il proprio punto di vista, è il frutto della nostra abitudine milanese, qui oserei dire metropolitana, tutt'altro che ristretta e provinciale, accogliente.

Più ci collochiamo nell’anima delle cose, nel loro spirito, meno le vediamo. Ci soffermiamo sui dettagli anche a costo di perdere il filo, in modo da ricordare perfettamente una scena di un film, una pagina di un libro, ma non la trama, come fa il pittore preso dalla rappresentazione.
Se lo sguardo è aldilà, dall'altra parte del mondo, va considerato lo spazio che ci separa, ma anche il tempo del luogo. Esistono luoghi lenti dove le tracce del cammino restano sul terreno, sulla sabbia come a Bermagui e luoghi veloci come Milano, dove i segni del nostro cammino si perdono, non restano.
Il movimento, il viaggio, però paradossalmente porta a far scorrere il tempo più lentamente.
Difficile quindi osservare senza immaginare. Il diario di viaggio, tra le righe della classificazione dei luoghi, dei cibi, degli esseri viventi (uomini e insetti, animali e piante), delle coste, rocce, arene, delle case, musei e monumenti, si riempie di sensazioni.
Il tentativo di classificazione scientifica, diario delle esperienze di vita per non dimenticare,  perché dopo una certa età non ci si ricorda quel che abbiamo mangiato a pranzo, diviene un'avventura, una mitologia.
Alighiero Boetti nel tentativo di classificare i mille fiumi più lunghi del mondo, si accorge che è impossibile misurare un fiume, perciò dedica mezza pagina alla descrizione oggettiva del fiume e l'altra metà all'immaginazione.
Non possiamo non portare con noi, come un’ombra, il nostro genius loci ed è proprio alla scoperta di genius loci dell’altro mondo che avviene quell’incontro tra spiritelli. Come non accoglierli con il frutto dell’immaginazione, come non lasciare che plasmino la nostra forma mentis?

Inspirare lentamente per lasciarsi ispirare.
Il volo per l’Australia che fa scalo a Doha, nel Qatar, è carico di volti intensi, pakistani, indiani, coreani, donne e uomini soli, famiglie, bambini. La fisiognomica è una pseudoscienza, è vero, ma osservare e immaginare è tutt’uno, facce e modi di vita.
E alle 18 di un giorno di luglio, d’inverno, Sydney dal vero, venticinque anni dopo, meno ricca, un po' più vecchia, sempre scenografica con le sue baie.
Il confronto con Milano, consumata dal fallimento degli opulenti anni ottanta perché non c’era più niente da bere, allora mostrava Sydney come una città ricca, nuova, positiva.
Milano ora rinnovata, più bella, apparentemente più ricca, gode i benefici della ventata di vitalità degli ultimi anni e compete.

Fili rossi
La Tasmania è quasi all’Antartide, un freddo cane. È il trionfo della natura con baie, scogliere, foreste e la sede di un museo molto interessante, il Mona (Museum of Old and New Art), che si affaccia all’interno della profonda insenatura sull’Oceano Pacifico, un Louisiana di Copenaghen traslato.
Kiefer e Boltanski qui come all’Hangar Bicocca di Milano. 
Kounellis al Mona e al Museo del Novecento
La mostra temporanea The Museum of Everything rimanda al Musée de l’Art Brut di Losanna ma anche allo spirito di Museo Teo. Everything infatti si definisce l'unico museo itinerante al mondo per artisti sconosciuti, spontanei e autodidatti del XIX, XX e XXI secolo.
Reti, fili rossi. 
Pare che David Walsh il ricco proprietario del Mona di Hobart non capisca nulla di arte contemporanea, ma dopo una vincita spropositata alla lotteria di Singapore, per non pagare le tasse, abbia messo in piedi questo spettacolare spazio espositivo, per buona parte sotterraneo, con enormi pareti scavate nella roccia. Abili curatori.
 A Melbourne è la città che trionfa, ma in grande agio con la natura: centinaia di ettari di verde metropolitano.  
A proposito di vincite milionarie il Casino della Crown Tower è un immenso spazio sensorialmente infinito dove gente di tutte le etnie e le classi, molte facce disperate, giocano d’azzardo alla roulette, a poker, alle slot. 
Aspetti della severa Australia English Commonwealth.
Lontano, cercando di lasciare impronte più forti, più sei solo e più affondano le orme. Le montagne di cinesi che osservano ridendo gli uccelli pinguini che escono dall’oceano a Phillip Island fanno meditare sul fenomeno del turismo di massa al cubo dell’ultimo decennio, altra specie di impronte. Più cinesi che pinguini.
A Bermagui il tempo si ferma, da un grande screen casalingo in una casa stile japan-bush con tre amici australiani vedo la terra vista dalla luna ascoltando i Pink Floyd, spiriti ancora una volta, del tempo e del luogo, che invitano a fermarsi, ad accasarsi. Fuori wallaby silenziosi e rane cantanti.
Il tempo del sogno aborigeno rimanda all’antica epoca della creazione del mondo. Tutt’altro che dreamtime. Il mio diario è diverso da quello di chi sta vivendo la stessa situazione.
Il viaggio continua.



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